Chi dice ’86, chi ’88, chi prima e chi dopo. Resta il fatto che non esiste una data precisa per immortalare la nascita della house music, nata da una costola di una discomusic demotivata, certo sul viale del tramonto. Delle immagini di uno dei pionieri del genere, che risulta essere il mitico Keith Farley Williams, ovvero Farley “Jackmaster Funk”, rimane ben poco, oggi.
Keith, con Mickey Oliver, Ralphi Rosario, Kenny Jason e Steve “Silk” Hurley, mise in piedi l’Hot Mix 5. I componenti si alternarono e a far parte del gruppo entrarono poi Mario “Smokin’” Diaz e Scott Seals, affiancati in un secondo tempo a Julian Perez e Edward Crosby. Obiettivo congiunto: dare una giusta forma a ciò che viene composto divulgando il più possibile il prodotto (l’esperimento), prima testandolo sulla gente per mezzo delle discoteche di tendenza e poi promuovendolo attraverso le emittenti radiofoniche illegali, fuorilegge (le cosiddette radio pirata, tanto di moda anche in Gran Bretagna).
Partenza in sordina. Negli Usa, la moda in quegli anni è tutta della scena hip hop, del mondo. Le prime copie di dischi house hanno il sapore di alternativo, quasi a richiamare la non-politica punk. La West End Records stampava “Let’s Go Dancing” di Loni Clarke. Ma a migliaia di chilometri c’è già qualcuno che involontariamente percorreva la medesima e sperimentale strada: Paul Oakenfold. “I ragazzini di Chicago amavano ballare la house tutta: erano innamorati della sua energia”, commenta Frankie Knuckles.