Era fatto così: il Main Dance Floor, la zona Stage vicino alla pista, la Crystal Room, il Dressing Cubicles, il Coat Check, l’Ingresso, il Ramp, la cabina per il dj, il Vip Lounge, l’area Sitting, la sala proiezioni, il giardino sul tetto, gli uffici e il guardaroba. Larry Levan era il dj e producer, Michael Brody il proprietario, Richard Long il fonico, Jose Lynne il manager, mentre Jaime De La Cruz il socio di minoranza.
Un’organizzazione incredibile. Ecco il motivo per cui il mondo ha perso il Club, quello con la c maiuscola. Da anni, perché il Paradise Garage, all’84 di King Street a New York City, ha chiuso i battenti con un final party il 26 settembre dell’87. Il proprietario, Michael Brody, rivela che fu la comunità di SoHo a volerne la chiusura: “Non volevano un club di neri nelle vicinanze, questa è la verità”. Ma sembra che le5 cose non stessero davvero così. Negli ultimi tempi i pierre non riuscivano più a riempire il locale.
Non era colpa di problemi interrazziali o di quiete pubblica, neppure di droga, perché il Paradise Garage era conosciuto come un posto solo per ballare. Da mezzanotte alle dieci del mattino, ogni venerdì e sabato, la gente impazziva, arrivava al Paradise già “fatta”. Neri, ispanici, gay. Il Paradise era il santuario di tutti, la chiesa della Garage Music, della Garage House, punto cruciale per le influenze della scena house di Chicago. Una chiesa. Ma anche una scuola di pensiero, per dj e per addetti alle pubbliche relazioni. Una capacità di ben duemila persone che andavano a occupare ogni spazio e a danzare ogni classico del tempo, da “Doctor Love” a “Love Sensation” a “Weekend”, perché la Salsoul in quel periodo era in gran spolvero.
Supportato dal miglior sound system in circolazione, disegnato da Richard Long, il celebre dj Larry Levan mandava in delirio la massa. L’ultimo sabato notte, Larry spense la musica sulle note di “Let No Man Put Asunder” delle First Choice facendo lo seguire da “It’s Not Over Between You and Me”. Larry voleva dire che non era finiti nulla tra lui e i clubgoers. A cavallo del 25 e 26 settembre dell’87 ci furono dei festeggiamenti, perché il Paradise non voleva chiudere i battenti in maniera triste. A dirigere l’evento venne chiamato anche Gwen Guthrie, oltreché un interminabile stuolo di artisti. Tutti avrebbero voluto vivere l’ultima notte del Paradise Garage. “Niente è stato come il Paradise”, dice Alex Mitsuda, un socio. “Sono stato iscritto al club per circa cinque anni. I più belli della mia vita.
C’era energia, intesa tra tutti noi. Quei tempi non si ripeteranno più. L’anno più tardi, a New York, un club chiamato Shelter provò a ricreare quella atmosfera, ma non ci riuscì. Erano i dettagli che facevano la differenza”.
David Mancuso del Loft e Nicky Siano del Gallery guardavano Michael Brody. In quel periodo si suonavano molti nastri bootleg, nelle case: mixati che oggi grazie alla West End Records di Newark (in Italia via Family Affair) sono culto. “Larry Levan Live At The Paradise Garage” è una gig che rende merito al lavoro di Larry, scomparso l’8 novembre del ‘92 all’età di 38 anni. Il suo ricordo vive nel soulful di Shalamar, Ashford & Simpson, del suono della Motown e della Crown Heights Affair.