Breve storia triste: contenuti, copyright e Internet (pt. 1 di 2)

A costo di tirarmi addosso dell’odio vero da parte di molti, proviamo a fare un riassunto della situazione con breve storia del diritto d’autore

di Sebastian Zdrojewski

Gli enti istituzionali (SIAE & Friends) ragionano ancora con la filosofia degli anni ’70 e puntano principalmente la loro attenzione sulla Musica (la vacca da mungere), cinema e libri. Degli autori e artisti degli anni 60-80, quelli che ancora foraggiano il mercato delle collecting.

Tutto quello che è Generazione Y e Gen-Z è abbandonato ad uno stato di “chissà” per due motivi essenziali:

1. Gen-Y e Gen-Z non hanno la più pallida idea di cosa sia il copyright (grazie YouTube e Facebook) e non sanno di avere dei diritti, anche avvantaggiati da un sistema scolastico sempre peggiore che, almeno una volta eoni fa, ti insegnava le basi del codice civile e di economia alle superiori. Non per colpa loro eh, ma perché chiedono informazioni (giustamente) le trovano (incredibilmente) ma vengono presi a schiaffi dalla realtà sotto forma di una cosa che si chiama DMCA (ovvero la normativa ammericana).

2. c’è questo “piccolo” GAP generazionale di due generazioni (forse una) in cui s’è creata una VORAGINE spazio temporale e che rende totalmente impossibile la comunicazione tra i due mondi. Quello conservatore (o conservato sotto vuoto) che intende rimanere dov’è (negli anni ’70) e quello che vive nel presente e pensa (almeno prova) al futuro che, invece di essere solo una strada in salita, è una fottuta parete di roccia verticale. Liscia. Levigata perfettamente. Senza appigli. E se qualcuno si affaccia, lo fa per versare dell’olio, perché si sa: la vita fa schifo, ma scivolosa è meglio (e fa più schifo).

In tutto questo ci guadagnano i titani del web (ovvero i soliti Facebook, Amazon, Google, Music Beat, Spotify) che cannibalizzano – pagando in like e visibilità – la creatività che a loro – poverini – frutta billions o’dollars in pubblicità, violazione della privacy, propagazione di fake news e altre porcherie che non ho voglia di elencare.

Quindi, in sostanza, un sistema creato a tutela di autori e autrici di contenuti è stata tenuta sotto naftalina (un minimo di coerenza coi tempi, suvvia) per decenni perché “tanto cosa vuoi che succeda”.

È successo l’Internet, e correva l’anno 1994. Il mondo entra nell’era del “mioddio sarà possibile diventare tutti più intelligenti”.

Jeffino fonda ammazzon il 5 luglio 1994.

Quindi arriva il mondo del peer-to-peer, Napster cambia (no, stavolta davvero) l’industria musicale (che è l’unica INDUSTRIA nel campo della proprietà intellettuale) a furia di schiaffi e frustate (Napster, Limewire, WinMX, eDonkey, Kazaa, tanto per fare dei nomi). Dopo qualche anno, suddetta industria, capisce che non le piace essere frustata, e capisce che forse il mondo va avanti anche se lei non vuole. Lentamente muoiono i CD e inizia l’era del download della musica (legale).

Internet, però, trova fondi per crescere grazie alla possibilità di condividere gattini su Internet e pornazzi a tutto spiano. Curiosamente, la seconda è l’unica industria che riesce a monetizzare immediatamente i propri contenuti e sviluppare le prime tecnologie di streaming (e dopo nasce YouTube).

Solo nel 2008, per la prima volta nella sua storia, Amazon produce degli utili, dopo più di 10 anni di bilancio in perdita. E non grazie al retail (che rimane in perdita) bensì grazie ai servizi AWS.

Il mondo del peer to peer continua a stuprare il mercato del copyright, ma intanto l’uomo ingolfato (AKA Steve Jobs) che si presenta come un monaco profeta filantropo: incrocia in un laboratorio segreto il DNA di un lettore MP3, un telefono e un table all’interno di un’unica mattonella di mezzo chilo. Nasce l’iPhone che rivoluzionerà davvero l’era Internet mettendola nel palmo della mano della popolazione.

(certo l’idea del palmo della mano e dei contenuti che mantengono in vita Internet mi fa un po’ senso)

Per la seconda volta nella storia, l’uomo ingolfato, salva un’azienda prossima alla morte agonizzante con un Ipod sotto steroidi (la prima volta lo fece con il iPod per davvero, ma è un’altra storia).

Intanto Yahoo! (che nessuno si caca più da quando ha ucciso Yahoo Messenger) si compra Flickr e Tumblr che, grazie alle straordinarie capacità manageriali del suo CEO, affonda tutti e tre. Da notare che a inizio anni 2000, un banner sulla homepage di Yahoo costava qualcosa tipo 200.000 euro al giorno (ahh i bei tempi delle .com)

Grazie ad Apple, Google (che se lo sentiva troppo piccino picciò) crea Android, un aborto di sistema operativo che non è mai riuscito a trovare una sua dimensione, clonato da tutti come Dolly (la pecora clonata – nda). Alla fine dopo qualche anno diventa usabile, e nel frattempo, i contenuti on demand trovano il loro spazio e diventano una normalità.

PornHub, nel frattempo, è diventato il colosso dello streaming che, 10 anni dopo, si propone magnanimamente per risolvere un piccolo problema di prestazioni (e fa già ridere così) del sito INPS in Italia, incapace di sopportare le richieste simultanee della popolazione.

Poi arriva zio Zuck, che dall’alto della sua etica e moralità crea una community di cui nessuno conosce le regole e che permette agli utenti di creare e condividere contenuti come se nulla fosse, pagando gli utenti a colpo di like e “pat pat” sulla testa. Nel frattempo il suo business cresce e riesce a ricavarsi una fettina nel mercato del pesc… emh… della vendita dei dati pers… no scusate… nella pubblicità etica e solidale profondamente verificata e al netto di fake news… che genera il 93% del suo fatturato, anche questo in ‘billions o’dollars.

Per dimostrare quanto bene vuole ai suoi utenti, nel 2016 introduce un sistema di “intelligiuenza artificiuale” (di cui già non capiva una ricca fava) il cui compito è solo uno: aiutare gli utenti della community a non riuscire ad avere vantaggi dal proprio organico. E risolve il problema in modo ancora più brillante: “vuoi comunicare con i tuoi amici? Per la modica cifra di “quanto sei disposto a pagare” euri al giorno, potrai far leggere i tuoi post a chi ti segue”.

A casa Yahoo, nel frattempo, Tumblr viene bannato dagli store mobile perché qualcuno ha denunciato l’app per aver pubblicato materiale inadatto di minori sul suo microblog. Per risolvere in modo chirurgico il problema, Tumblr fa LA MOSSA finale: taglia via tutti i contenuti N S F W dalla propria piattaforma (che era sostanzialmente l’unica cosa che la teneva ancora in vita). Un po’ come voleva fare OnlyFans qualche anno dopo.

Sempre nel frattempo: Cambridge Analytica e Trump (ma questa la raccontiamo un’altra volta).

Poi fu il tempo di Spotify, leggendaria creatura nordica che è riuscita a quotarsi in borsa, nonostante non abbia prodotto un bilancio in attivo da… sempre, abbia collezionato una quantità di denunce colossali per truffe, e per non aver pagato gli autori.

Nel mentre, Flickr passa di proprietà, tipo figurine di Magic, e taglia via una miliardata di immagini, mandando a mignotte le date di pubblicazione e licenze Creative Commons di tutti i lavori registrati (quella cosa chiamata “data di prima pubblicazione”? Ciao).

Infine arrivò TikTok, la piattaforma di microcontenuti che ha spaccato il mondo, cresciuta come un pallone aerostatico che è riuscita in pochissimo a fare 800 milioni di visitatori attivi al giorno. Introduce il sistema di advertising (dopo aver raccolto illegalmente dati sulle abitudini dei minori senza il consenso, ma questo è marginale – TANTO LO FANNO TUTTI) e ora è in procinto di una causa di proporzioni bibliche perché pare (ma mi sto ancora documentando) che qualcosa tipo il 60% dei brani nella collezione sia illegale.

Prima della conclusione, a seguito dell’entrata in vigore del “COPPA” (che non è una roba di sport, ma la normativa privacy a tutela dei minori negli USA entrata in vigore il 01/01/2020) qualche sito ammericano ha deciso di stringere (tipo cappio al collo, non cintura alla vita) le regole sui contenuti, quindi, in modo decisamente deliberato e metodico, se i contenuti non sono adatti ai minori (ovvero, potenzialmente il 90% dei contenuti di Internet) rischi il ban dalla piattaforma. Ma tranquilli, a questa regola si sono adeguati solo YouTube, Facebook, Tumblr (che tanto continua a non cacarsi più nessuno), Yahoo (che ancora qualcuno ha il coraggio di usare) Google+ (che è finito nel cimitero dei prodotti uccisi da Google) e Patreon (che considera un disegno in stile manga altamente pornografico e quindi bannato – e no, non è uno scherzo). Twitch regge (fino a fine giugno 2020) mentre Twitter continua a rimanere il regno del NSFW.

Ok, la morale di questo rant è la seguente.

Per DECENNI Internet e le aziende che lo hanno popolato hanno prosperato grazie a contenuti. A prescindere dalla loro qualità o dal fatto che piacessero o non piacessero, sono sempre frutto della creatività delle persone che hanno attraversato questo immenso monnezzaio tecnologico.

Parliamo di un volume d’affari di migliaia di miliardi di dollari nel giro di nemmeno una generazione.

E alla fine dei conti, se guardiamo le cose per quello che sono, di questi creativi, non sembra fregargliene più di tanto a nessuno. Eppure, se non fosse per loro, i vostri siti continuerebbero ad avere come unica attrazione dei micetti.

O del porno.

In entrambi i casi, sarebbe comunque, frutto della creatività di qualcuno.

Che non vi degnate nemmeno di creditare.