Le particelle di Cattaneo diventano musica di spessore

Primo episodio di “The Particles”, meta factory artistica nella quale gli artisti creano le loro particelle e le affidano a un progetto più ampio fatto di album, audio, NFT, arte visuale, video e social, “The Faun” è un insieme di improvvisazioni interpretate da altri artisti, secondo la loro visione e libertà compositiva, oltre il tempo e lo spazio. Il nuovo album di Paolo Cattaneo, in uscita il 10 novembre per Freecom, mette in risalto ancora una volta le doti del musicista, cantautore e performer elettronico bresciano.

Elettronica, synth music, strumenti tradizionali e ritmiche minimali si fondono nelle dodici tracce costellate da collaborazioni con artisti nazionali e internazionali. Tra essi Francesco Bianconi dei Baustelle, che firma a quattro mani con Cattaneo “Italiano per Stranieri”, pezzo uscito il 15 settembre.

La meccanica quantistica prevede che quando due particelle si incontrano, avviene uno scambio di informazioni indissolubile, che trascende lo spazio e il tempo. Questa è la base della filosofia delle particelle, ‘The Particles’, di cui ‘The Faun’ è espressione concreta”, spiega Cattaneo. “Si tratta di un progetto che da piccoli frammenti costruisce nuovi mondi. Non sono soltanto i singoli suoni, strumenti o parole a renderlo incredibile, quanto più l’unione degli stessi, che creano nuova vita. Questo lavoro mi ha consentito di lavorare con artisti e artiste che ammiro, con cui è nata una sinergia creativa, cambiando il mio modo di comporre. Sono felice che ora The Faun sia anche vostro”.

Il tuo nuovo album “The Faun” sembra attraversare diverse influenze musicali, spaziando dall’elettronica alla ambient. Come sei riuscito a bilanciare queste diverse sfaccettature per creare un suono coerente?
“‘The Faun’ è la condensazione del mio passato da cantautore e del mio presente da produttore. Quando ho iniziato a sperimentare con i synth analogici, ho iniziato a vedere la musica come un insieme di particelle sonore sovrapposte, che esistono sia come unità minime sia come parte di un tutto. Ho cominciato a capire che nella mia testa esisteva un suono che ancora non ero riuscito a ricreare. Se non trovo una cosa come vorrei la creo da me. Così, continuando a sperimentare, sono giunto ad un risultato che mi soddisfacesse, a una commistione di particelle che corrispondeva all’idea nella mia mente”.

Hai collaborato con artisti internazionali come Francesco Bianconi, Douglas Dare, YOSIE, Hamid Shahsavan e NicoNote, in questo album. Come hai gestito questa diversità di stili e culture durante il processo creativo?

Nel corso degli anni, soprattutto ascoltando artisti come John Grant, ho compreso come è importante che la voce si inserisca come un vero e proprio strumento all’interno di una composizione. Volevo che la presenza di queste voci fosse totalmente scollegata da vincoli, che ci fosse una totale libertà di espressione, sia nelle parole sia nella melodia. Di fatto ‘The Faun’ è nato da improvvisazioni, da flussi creativi, non volevo che questa dimensione si perdesse. La naturalezza ha fatto sì che le diversità stilistiche e culturali si appianassero. È stato un momento di grande ascolto e confronto”.

C’è un particolare brano in “The Faun” che ti ha emozionato particolarmente durante la produzione? Puoi condividere un po’ dietro le quinte su come è nata quella traccia?

Quella di cui ricordo con chiarezza la nascita, è ‘Italiano Per Stranieri’, nata la notte di Capodanno tra il 2020 e il 2021. Poco dopo la mezzanotte ho guardato con mia moglie i fuochi d’artificio in terrazzo e nel rientrare una piantina è caduta. Lei mi ha detto di aspettarla perché doveva sistemare la terra; quindi, per ingannare l’attesa, mi sono seduto al pianoforte quasi per gioco e ho iniziato a suonare. In quei 5 minuti è nata ‘Italiano Per Stranieri’”.

L’arte visiva sembra essere un elemento importante nel tuo lavoro. Come vedi l’interazione tra musica e immagini nel contesto di questo album?
“Credo fermamente che la musica e il suono vadano di pari passo con un immaginario ben definito. I suoni, più o meno consapevolmente, ricreano in noi delle sensazioni e delle immagini. La dimensione visiva è qualcosa che cerco sempre di curare in modo da predisporre l’artista all’ascolto, cercando di trasmettergli il giusto mood. In questo Carlos Bracho è stato fondamentale. Le sue fotografie rappresentano alla perfezione le immagini che io stesso avevo in mente durante la creazione dei brani, qualcosa di surreale ma al tempo stesso appartenente alla natura”.

Qual è il messaggio o l’emozione che speravi di trasmettere agli ascoltatori attraverso “The Faun”? C’è un significato particolare che hai voluto incanalare in questo progetto?

“‘The Faun’ è un disco che cerca di unire diversi approcci e tendenze, diversi immaginari, una tappa necessaria per la mia formazione artistica. È sicuramente un album per me di sperimentazione, in cui ho cercato di condensare diversi significati, di ottenere texture sonore, di mettere in ordine il caos compositivo. È un disco di metamorfosi, in cui tante piccole particelle si uniscono per formare questo suono unico, per unire digitale e analogico. La metamorfosi e l’ibridazione rappresentate dal fauno sono il messaggio alla base”.

Come muoversi come artisti oggigiorno nel settore dell’intrattenimento?

Questa è una domanda difficile, credo che non esista una vera e propria risposta generale, valida per tutti. Ognuno deve trovare il proprio modo di stare nella musica, nel settore. L’unica cosa che per me è certa è il consiglio del musicista e bassista Franco Testa che ho ricevuto tanto tempo fa. Mi disse “Per far finta di piacere devi essere un gran bravo, te lo sconsiglio. Sii te stesso, così piaci o non piaci ma non avrai rimorso”. Può sembrare banale, ma spesso si rischia di dimenticarlo”.