Salentina di nascita e milanese di rinascita, figlia di due pittori, dopo gli studi d’arte e un vissuto in ambiti professionali legati alla sfera artistica – presentatrice in tv e speaker in radio, Clelia Patella decide di dedicarsi completamente all’arte strictu senso, non già come autrice in prima persona, ma parlandone. Prima con il suo blog Artos, poi nel corso degli anni per diverse testate tra cui Artslife e Il Giornale, visita e racconta le mostre del momento e gli artisti più influenti, dall’arte antica alla contemporanea. L’impronta è divulgativa ma in chiave moderna, e quindi fortemente social: in tempi di affermazione del concetto di “artentainment” (ovvero l’arte come intrattenimento, o per meglio dire il lato entertaining dell’arte, che la sta trasformando da materia dotta a trending topic) questo è l’approccio da lei scelto: con la sua web-rubrica “Walk in Art”, ad esempio, si immerge in una mostra e in tre minuti la racconta, camminandoci dentro, puntando all’identificazione col pubblico in modo da farlo familiarizzare con l’esposizione ancor prima di andarci.
Con il Selfie ad Arte si è inventata un format che mira ad avvicinare il pubblico alle opere, in una prospettiva di reinvenzione iconografica mutuata dalle nuove tecnologie dell’imaging. Si tratta del gesto più diffuso dei nostri tempi: quello che una volta si chiamava autoscatto, qui utilizzato per ritrarsi insieme con (accanto, o contro, imitando o contrastando) le opere d’arte. Un’operazione costante, regolare, insistente ed insistita che si fa routine e che sta tra il detournment e la divulgazione. Una rilettura pop che non abbatte il valore delle opere né eleva quello del selfie, ma diventa un escamotage – assieme ai “nuovi” titoli di queste “nuove” opere – che ne sposta completamente il focus rendendole parte di un nuovo discorso: per suggerire una rilettura leggera, rinnovata e familiare del lavoro degli artisti, non tesa a sminuirne la serietà ma a renderlo più “user friendly”.
Nel 2018 partecipa con i suoi #SelfieAdArte alla prima grande mostra sui Selfie realizzata in Italia al Castello di Gallipoli, che analizza la storia del ritratto e autoritratto, fino agli autoscatti d’autore nella storia dell’arte per arrivare ai selfie di oggi. Nel 2019 ha scritto e pubblicato, per Ultra Edizioni, il libro “Selfie ad Arte – l’Arte al Tempo dei Social”, testo che tra l’autobiografia e il saggio approfondisce un’analisi sul rapporto tra arte, musei, fotografia, smartphone e social media. Nel 2021 e 2022 cura e conduce il programma radiofonico “Lo stato dell’arte” su Radio24 in cui racconta il rapporto tra l’arte, le nuove tecnologie e le nuove istanze sociali alla luce dei grandi e rapidissimi cambiamenti del giorno d’oggi. Nel 2023 inizia il suo percorso da curatrice, in particolare dedicandosi a progetti e mostre di arte digitale. Nel contesto della Milano Digital Week cura il progetto di Sound Art “The Sound Garden – Out of Sight” dell’artista Massimiliano Ionta, presentato alla Triennale di Milano (6-10-2023) in collaborazione con Soundreef. Successivamente cura l’innovativo progetto “The Inner War” (26-10-2023), che vede coinvolti l’artista Nico Mingozzi e il fotografo spagnolo vincitore del Premio Pulitzer (2013) Manu Brabo. I proventi della vendita della produzione di opere sia fisiche che NFT sono stati totalmente devoluti a Medici Senza Frontiere.
Noi di TrafficJam l’abbiamo intervistata.
La tua passione per l’arte e la tua carriera nel mondo dei media come ha influenzato la tua vita?
L’arte è stata una presenza costante nella mia vita già dall’infanzia, grazie all’influenza dei miei genitori, entrambi pittori. Fin da piccola, mi hanno portato a esplorare musei e gallerie, suscitando in me una profonda curiosità e amore per l’espressione artistica. Questo legame con l’arte si è poi consolidato ulteriormente con gli studi. Nonostante questa connessione innata con il mondo dell’arte, per un lungo periodo, ho seguito altri interessi. Quando l’arte è diventata il mio lavoro, ha trasformato radicalmente la mia vita. Seguire la mia passione mi ha aperto porte che non avrei mai immaginato. Da quel momento, ho avuto l’opportunità di viaggiare per il mondo e seguire ciò che avviene in campo artistico. Eppure, rispondere alla domanda su come l’arte abbia influenzato la mia vita non è semplice. È molto più di un lavoro o una passione, è parte integrante della mia identità. Non riesco ad immaginare la mia esistenza senza.
Dalla televisione e radio all’arte e alla scrittura, qual è stato il momento chiave che ha innescato il tuo desiderio di dedicarti completamente all’arte?
Dopo il liceo artistico volevo fare l’archistar, sognavo di progettare musei in giro per il mondo. Ma il destino aveva altri piani per me e per una serie di coincidenze, mi sono invece ritrovata nel mondo della radio e della televisione, conducendo programmi musicali. Questa deviazione dalla mia aspirazione originaria potrebbe sembrare una svolta inaspettata ma è stata un’esperienza straordinaria che mi ha donato tanto. A cui forse devo la mia capacità di considerare un tema “elevato” come l’arte anche attraverso l’occhio del pubblico, mettendomi nei panni di chi le mostre le va a vedere. Tutto è cambiato durante il mio ultimo programma televisivo, quando mi è stata chiesto di aprire un blog e di condividere la mia passione con il mondo. Era il momento dell’esplosione dei social media e ho iniziato a documentare ogni mia visita ai musei, catturando ogni istante con foto e video. Questo ha rapidamente attirato l’attenzione di diverse testate, per cui ho iniziato a scrivere. Così, in un lampo, ho riscoperto il mio primo amore e in quel momento ho realizzato che non sarei più tornata indietro.
Potresti raccontarci come nasce l’idea della tua videorubrica “Walk in Art” e quale impatto pensi che abbia sul tuo pubblico?
“Walk in Art” è nata per il mio semplice desiderio di raccontare le mostre che visitavo. In quegli anni in rete e sui social media c’era davvero pochissimo sull’argomento. Mi sono chiesta perché non provare a raccontare direttamente al pubblico ciò che vedevo, trasmettendo la mia passione e coinvolgendo gli spettatori nella stessa esperienza che stavo vivendo io. Quello che volevo fare non era però solo un reportage giornalistico su una mostra, ma piuttosto condividere l’emozione e la bellezza dell’arte con coloro che magari non potevano visitare i musei di persona. Speravo che le mie visite potessero stimolare negli spettatori il desiderio di esplorare questi luoghi. Per me, l’arte non va solamente raccontata o spiegata, ma va vissuta e sentita. Chi visita una mostra dovrebbe essere guidato dalle emozioni e dalla bellezza che incontra. Con il tempo, il mio progetto è cresciuto e si è trasformato in un lavoro che mi ha permesso di viaggiare e visitare musei in tutto il mondo.
Il vero successo per me è stato vedere l’apprezzamento delle persone che mi seguono, sempre più interessate e coinvolte nelle mie esperienze artistiche. Spesso mi chiedono informazioni su mostre e musei, e mi ringraziano per aver condiviso con loro scoperte e conoscenze nuove. Vedere la mia passione diventare il mio lavoro è stata una gratificazione impagabile.

Nel tuo libro esplori il rapporto tra arte e social media. Qual è stata la principale ispirazione dietro il libro, e quali conversazioni speravi di innescare nel tuo pubblico?
Più che un’ispirazione, direi che dietro, anzi dentro al libro, c’è innanzitutto la mia storia. Racconto il mio approccio all’arte, che se vogliamo è diverso da chi la spiega o la divulga in altri contesti. Nel libro, il mio ruolo è quello dello spettatore, forse uno spettatore specializzato che conosce ciò che va a vedere ma che ogni volta si lascia guidare dall’emozione, e questo è fondamentale. Quando ho scritto il libro, eravamo davvero in pochissimi a condividere l’arte sui social media. È sempre stata vista come una cosa difficile da raccontare e da capire, e siamo sempre stati abituati a sentirne parlare dai critici. Oggi, invece, sui social ci sono tutte le testate giornalistiche, ci sono le aziende più antiche del mondo e finalmente anche tutti i musei. Quindi in brevissimo tempo sono cambiati i parametri di comunicazione e chi comunica deve farlo anche pensando che per parlare con le nuove generazioni ci vuole un linguaggio diverso, perché il medium è diverso. Quello che cerco di fare io è proprio questo, perché mi permette di comunicare in modo più efficace e attuale con tutti. Direi che oggi bisognerebbe innescare altre conversazioni, magari sul rapporto dell’arte con le nuove tecnologie. Forse scriverò un altro libro su questo argomento.
A proposito Come vedi l’evoluzione del rapporto tra arte e nuove tecnologie, e quali potenziali cambiamenti prevedi nel modo in cui fruiamo l’arte, considerando anche il tuo ruolo di curatrice di mostre?
Guardando al futuro del rapporto tra arte e nuove tecnologie, è evidente che siamo di fronte a un’epoca di straordinarie possibilità. Le nuove tecnologie hanno aperto un ventaglio di opportunità per gli artisti, consentendo loro di esplorare nuovi mezzi espressivi e di trasformare radicalmente il modo in cui le opere d’arte vengono create, interpretate e condivise. Le potenzialità sono molteplici: dalla realtà virtuale che offre esperienze immersive e coinvolgenti, alla realtà aumentata che arricchisce la percezione delle opere d’arte attraverso dispositivi mobili, fino alla produzione di opere interattive che permettono al pubblico di partecipare attivamente al processo creativo. Questo panorama in continua evoluzione offre tantissime di possibilità sia per gli artisti che per coloro che fruiscono l’arte. È probabile che in futuro assisteremo allo sviluppo sempre maggiore di ambienti immersivi che faranno vivere allo spettatore una vera e propria esperienza e l’arte non sarà più semplicemente osservazione. Allo stesso tempo però emergono anche alcune sfide. La rapidità con cui le tecnologie evolvono può rendere difficile per gli artisti restare al passo con le ultime tendenze e sviluppi. Come curatrice, vedo il mio ruolo come un ponte tra l’arte tradizionale e quella digitale, cercando di valorizzare entrambe le forme espressive e promuovendo un dialogo tra esse. Inoltre, ritengo fondamentale educare il pubblico alle nuove forme d’arte digitale e sul loro significato, incoraggiando una comprensione più profonda e critica di queste espressioni creative.
Quali sono state alcune delle scoperte o discussioni più interessanti che hai avuto mentre conducevi il programma “Lo stato dell’arte” su Radio24?
La cosa più bella è stata proprio scoprire insieme ai protagonisti di questa nuova arte, il cambiamento che stava avvenendo. L’evoluzione dovuta alla tecnologia in campo artistico è stata ed è velocissima. Ogni giorno emerge qualcosa di nuovo che consente agli artisti di esprimersi, così come agli addetti ai lavori permette di investire e comunicare una nuova era culturale in continua crescita ed evoluzione. Durante il periodo del programma, ci trovavamo nel pieno boom del digitale. Intervistare i più importanti cryptoartisti, i direttori dei musei, le istituzioni o i collezionisti è stato un’esperienza esaltante che mi ha permesso di comprendere appieno ciò che stava accadendo in tempo reale, insieme a loro. Il confronto mi ha permesso di entrare a far parte di una nuova stagione senza precedenti, dalla quale ritengo non ci sia ritorno. Credo che questo periodo sarà ricordato come uno dei più significativi momenti di svolta in campo artistico dopo decenni. È la diretta conseguenza dell’avvento delle nuove tecnologie, che stanno trasformando radicalmente non solo il mondo artistico, ma molti altri aspetti delle nostre vite.

Essendo una figura di riferimento tra gli influencer culturali in Italia, quali responsabilità senti di avere nel plasmare il dialogo intorno all’arte e alla cultura nel nostro paese?
Innanzitutto penso che sia un privilegio avere questa responsabilità. Il mio lavoro è anche una fonte di grande divertimento e credo proprio che questo sia il segreto per trasmettere i contenuti che creo in modo diretto e coinvolgente. La cultura e l’arte non sempre hanno un messaggio di facile interpretazione ma piuttosto che limitarmi a dare delle spiegazioni io nel mio lavoro, come ho già detto, cerco di informare su quello che succede nel mondo artistico e di trasmettere le emozioni che io stessa provo. Quindi il mio senso di responsabilità mi spinge a cercare di sensibilizzare il più possibile chi mi segue, perché purtroppo l’arte e la cultura sono ancora percepite come una cosa difficile per essere accessibile a tutti. Questo è quello che da anni mi propongo di fare, riuscire a portarla davvero a chiunque. Cercando sempre di anticipare quello che verrà, perché oggi soprattutto con le nuove tecnologie, il processo di evoluzione anche in campo artistico è velocissimo, quindi serve avere sempre una visione aperta al nuovo.
Hai nuovi progetti o ambizioni che vorresti realizzare nel prossimo futuro, magari integrando ulteriormente arte, media e tecnologia?
Tanti, troppi e alcuni già in fase avanzata ma non te ne parlerò adesso…
Intanto voglio raccontarti la mia ultima curatela che riguarda la mostra “Another World” di Marco Salom per la Fondazione Francesca Rava durante la XIII edizione di MIA Photo Fair. Salom è innanzitutto un grande regista, oltre che visual artist e compositore. Ha prodotto e diretto innumerevoli music video e docu-film con i più grandi artisti: Ligabue, Elisa, Skin, Jovanotti, solo per citarne alcuni. E lavorare con una figura di così grande esperienza è stato un arricchimento. Le sue opere sono realizzate con l’utilizzo di AI e interventi pittorici in fase finale. Sono veramente la creazione di un altro mondo, in cui bellezza, mistero e sogno ti portano a conoscere le creature meravigliose che lo abitano. Un mondo metafisico e utopico, in cui uomo e natura vivono in perfetta armonia e le sue protagoniste sono donne bellissime che hanno sofferto ma hanno anche lottato per uscire dal dolore e portano fiere i segni delle loro ferite sulla pelle. Esempi in cui tutti ci possiamo ritrovare ma in cui cercare anche una speranza soprattutto per chi soffre o vive un disagio, come le famiglie, i bambini e gli adolescenti che la Fondazione Rava da anni sostiene.
Il ricavato delle opere messe in vendita è stato in parte devoluto al progetto “Ci prendiamo cura di te” in risposta alla povertà sanitaria e di assistenza alla salute, anche mentale, di bambini, adolescenti e donne in Italia. Lo stesso artista da anni è volontario della Fondazione e ha realizzato molti documentari e missioni per loro.
Quali consigli daresti a giovani artisti o comunicatori che desiderano usare i loro lavori per esplorare e commentare il rapporto tra arte e società contemporanea?
L’arte è sempre stata segno dei tempi in cui si vive e quindi il consiglio che darei ai giovani artisti è di sperimentare il più possibile e di abbracciare senza timore i mezzi che la tecnologia offre oggi per esprimersi. Troppo spesso, noto ancora delle resistenze tra i giovani artisti nell’esplorare il mondo digitale. Anche se si è eccellenti nella pittura, la scultura o la fotografia, incoraggio a sfruttare le nuove tecnologie e a esplorare le infinite possibilità che offrono. Fondere le tecniche tradizionali con quelle digitali può portare a risultati sorprendenti e innovativi, e consente agli artisti di essere sempre al passo con i tempi, se non addirittura di anticiparli. L’arte ha il potere di stimolare il pensiero critico, di sollevare questioni importanti e di promuovere il dialogo sociale. Utilizzate il vostro talento e la vostra creatività per affrontare temi significativi e per ispirare il cambiamento nella società.