Margherita Devalle si è fatta furba

Margherita Devalle, speaker radiofonica e presentatrice TV, illumina il panorama mediatico con il suo podcast “Fatty Furba” e con le interviste con gli artisti più in voga su Radio Popolare. TrafficJam l’ha incontrata e intervistata

https://www.youtube.com/@FattyFurba

https://www.instagram.com/margherita_devalle/

Dalle interviste in radio a quelle in video su YouTube. Oggi in cui tutto è video, è una scelta obbligata o voglia di esplorare altro?

La mia voglia di esplorare il mondo delle immagini in movimento ha radici profonde che arriva dai tempi dell’università e dalla mia passione per la recitazione. Prima ancora di iniziare a lavorare in radio negli anni universitari, mi piaceva trascorrere il tempo nei backstage di piccoli concerti, intervistando gli artisti prima delle loro esibizioni. È grazie a quei video che ho iniziato a lavorare in radio. Ritornare a immergermi in questo mondo delle immagini in movimento è per me come tornare a casa e ritrovare una lingua che, per un po’, avevo smesso di parlare.

Radio e video sono linguaggi diversi. In cosa si differenziano e in cosa invece si assomigliano?

In entrambi i casi, sia nella radio che nel cinema, si raccontano storie che stimolano sensi diversi, ma altrettanto importanti. Lo speaker alla radio è come un attore davanti alla macchina da presa. Se poi lo speaker è anche autore e il registra anche sceneggiatore, i ruoli si fondono ancora di più: Tarantino, ad esempio, è uno di questi.

A chi è rivolto il tuo podcast Fatty Furba?

A chiunque abbia voglia di ascoltare delle storie, vere. A chiunque abbiamo voglia di creare la propria di storia.

Come scegli gli ospiti?

Uno speaker, un podcaster, un doppiatore: sono tutti artigiani della voce. Come la qualità di un film dipende anche dai suoi attori, così la qualità di un buon podcast, specialmente se prevede degli ospiti, dipende anche dalla selezione degli ospiti stessi. A differenza del cinema, noi non facciamo il casting degli ospiti, quindi il margine di rischio e di sorpresa sono meravigliosamente eccitanti.

Come ti prepari per un’intervista e quali sono gli elementi chiave che ritieni fondamentali per una buona conduzione?

Prepararsi per un’intervista è come prepararsi per una missione spaziale: richiede precisione ma è anche incredibilmente imprevedibile. Mentre la scelta dell’ospite viene fatta mesi prima, considerando non solo la sua storia ma anche il modo in cui la racconterà, di solito lascio la preparazione dell’intervista per l’ultimo giorno per due motivi: lavoro meglio sotto pressione e ho una memoria selettiva; quindi, faccio da detective privato il giorno prima per raccogliere una serie infinita di dati che utilizzerò come un bisturi il giorno successivo. Poi c’è la mia agendina pelosa, una sorta di copertina di Linus, piena di appunti che raramente uso, ma non posso farne a meno, deve essere sempre con me, anche quando non serve. Quando sono sul set con gli ospiti, sembra che li conosca da anni, ma in realtà la vera ricerca è iniziata solo 24 ore prima. A volte, le loro storie mi appassionano così tanto che non riesco a dormire la notte.

Quanto lasci, invece, all’improvvisazione?

Molto, penso sia una delle mie caratteristiche migliori improvvisare. Credo che una buona improvvisazione debba essere supportata da studio, analisi, ricerca e anche da errori passati, solo così l’improvvisazione sarà improvvisa nel senso di spontanea, nulla avviene per caso: ogni azione è il risultato di una serie di azioni e di esperienze precedenti. Forse ragionandoci non credo all’improvvisazione.

In un’intervista riuscita (o non riuscita) sono più i meriti del conduttore o dell’ospite?

L’intervista è come una grande tela, si dipinge tutti insieme. È un po’ come chiedere a un regista se il successo di un film dipenda solo da lui o dagli attori. E i cameramen, i costumisti, gli sceneggiatori, i fonici? Ognuno ha il proprio ruolo e tutto contribuisce al risultato finale. Se valutiamo solo il conduttore e l’ospite, la responsabilità è cinquanta e cinquanta.

Secondo te, quanto sono davvero sinceri gli intervistati?

Penso che un intervistato non sarebbe sincero nemmeno se si intervistasse da solo. In quel momento sta interpretando un ruolo, quello dell’intervistato. La responsabilità di far cadere la maschera, e vedere quale altra maschera appare lì sotto, è dell’intervistatore. Ma in realtà penso che nessuno sia mai veramente vero, nemmeno nella tomba, pure lì interpretiamo un ruolo, quello del morto.

Durante una puntata hai affermato che c’è più competizione e ostilità tra donne. Secondo te perché?

Perché ad ora in questo settore siamo numericamente meno, e quello che ho percepito è che si ha la paura di perdere il proprio status quo conquistato con tanta fatica. Questo è un dato di fatto non è né un bene né un male, semplicemente le cose stanno così e non mi piacciono per niente.

Quale ospite vorresti nel tuo podcast?

Qualcuno che non vive sulla terra o che non è nato su questo pianeta.

Quali sono gli argomenti che ritieni più interessanti da esplorare?

Coraggio, determinazione e fiducia sono temi che mi affascinano profondamente e che mi piace esplorare nel dettaglio.

Oggi siamo sommersi da informazioni. Come difendersi da questa sovraesposizione e riuscire a scovare la qualità?

Divorando informazioni e dedicando alla curiosità almeno la metà delle nostre giornate.

Secondo te quale è il presente, ma soprattutto il futuro dei social?

È importante concentrarsi sul presente dei social media, viviamo in questo momento e ne subiamo l’influenza, sia positiva che negativa. I social media sono un mezzo potentissimo che promuove sia la coesione che la divisione, e il loro impatto può essere costruttivo e distruttivo contemporaneamente. Ciò che mi affascina riguardo al futuro di questo mondo è l’intelligenza artificiale: illuminante, performante e incredibilmente geniale.

Sembra che i social siano diventati luoghi in cui sfogare odio e frustrazioni. Vedi la speranza di tornare ad un confronto più costruttivo e umano?

L’importanza spropositata la diamo noi, non i social media. Questi mezzi ci permettono di diventare tutti onnipresenti e multi-opinionisti. Semplicemente secondo me, come al bar, alcune volte, basterebbe ascoltare l’amico che ne sa di più e stare zitti. Il voler a tutti i costi sentirsi parte di un discorso, di cui non conosciamo molte volte nemmeno il soggetto, solo per il gusto di esserci, è un male. Questo è il male dei social per me.

Cosa vorresti, per te stessa, dal 2024?

Continuare a seguire il processo senza mai stancarmi di amarlo.