C’è un pezzo di Milano che profuma ancora di fumo, birre calde, battute improvvisate e canzoni nate in una notte di libertà. È lo Zelig, il locale di viale Monza che quarant’anni fa ha cambiato per sempre la comicità italiana.
E oggi quella storia, fatta di sogni, debiti, amicizie e rivoluzioni artistiche, torna a vivere nel libro “Zelig Republic – Storia del cabaret più famoso d’Italia”, scritto dal cantautore e drammaturgo Giangilberto Monti (Compagnia Editoriale Aliberti), con la prefazione del comico Giobbe Covatta e le interviste curate dal giornalista Vito Vita.
Monti, chansonnier raffinato e storico del teatro-cabaret, non racconta semplicemente la cronaca di un locale: mette in scena una vera epopea collettiva, il romanzo di una generazione che tra un microfono gracchiante e un bicchiere di vino ha ridisegnato il volto dell’ironia italiana.
Dalle notti spericolate del Derby Club alla nascita dello Zelig nel cuore operaio di viale Monza, “una periferia depressa”, come la definivano allora, fino al successo televisivo nazionale, Monti intreccia testimonianze dirette, documenti inediti, fotografie e aneddoti che restituiscono il suono, l’odore e il ritmo di quegli anni.
“Il cabaret è un teatro microscopico, dove non hai la distanza col pubblico, per cui non puoi camuffare niente, sei lì.”
(Paolo Ciarchi, citato nel libro)
Zelig nacque così: in una mansarda, tra olivette e patatine, da un gruppo di amici che sognava un luogo libero dove musica e comicità potessero respirare insieme. Giancarlo Bozzo, Gino & Michele, Enzo Gentile, Saturno Brioschi, Rudy Rezzoli: i nomi di una cooperativa visionaria che, senza saperlo, stava gettando le fondamenta della “Repubblica del sorriso”.
Fu Enzo Gentile, critico musicale, a proporre il nome Zelig, come il camaleonte di Woody Allen: una creatura capace di trasformarsi continuamente, proprio come la scena milanese che in quegli anni ribolliva di esperimenti e libertà.
Il libro segue il filo della memoria con ritmo da sceneggiatura musicale, raccontando l’ascesa, il declino e la rinascita di un locale che divenne fucina di talenti: da Antonio Albanese a Claudio Bisio, da Paolo Rossi a Checco Zalone, da Elio e le Storie Tese ai Gialappa’s Band, passando per Aldo, Giovanni & Giacomo, Ficarra & Picone, Gene Gnocchi e tanti altri.
Una parabola artistica che attraversa quarant’anni di Italia, tra palco e televisione, tra la poetica di Dario Fo e il linguaggio pop del nuovo millennio.
E nel racconto di Monti, che di quel mondo è parte viva, più che semplice narratore, c’è la musica a fare da collante.
Perché, come lui stesso racconta nei suoi spettacoli, “le parole fanno ridere solo se hanno ritmo, come in una canzone ben scritta”.
Zelig come sinfonia civile
“Zelig Republic” è un libro che si legge come un disco: ogni capitolo è una traccia, ogni voce un assolo, ogni risata un battito di batteria.
Giobbe Covatta, nella sua prefazione, lo dice chiaramente: “Non avrei mai pensato che qualcuno potesse scrivere un libro sugli amici miei… non era tutto rose e fiori, ma ci divertivamo come pazzi.”
Dietro la leggerezza, Monti fa emergere una Milano di provincia e rivoluzione, quella che al mattino si alzava per andare a lavorare e di notte inventava una nuova arte del ridere. Una generazione che non aveva quasi nulla, ma aveva tutto: la voglia di raccontarsi.
Un tour tra parole e musica
Per celebrare l’uscita del volume, Monti porterà “Zelig Republic” in una serie di presentazioni-spettacolo che mescolano racconto, ironia e canzone d’autore:
• 15 novembre – Teatro del Navile, Bologna (ore 21.00)
• 23 novembre – Bonaventura Music Club, Buccinasco – Milano (ore 21.30)
• 27 novembre – Circolo dei Lettori, Torino (ore 18.00)
Ogni incontro sarà un piccolo Zelig itinerante, tra musica dal vivo, aneddoti e omaggi ai maestri del teatro-cabaret: da Boris Vian a Dario Fo, da Serge Gainsbourg a Fabrizio De André.
Sul palco, con Monti, artisti come Stefano Nosei, Paco D’Alcatraz, Bob Messini e Heggy Vezzano, per un viaggio che unisce parole ribelli e risate d’autore.

Intervista a Giangilberto Monti su “Zelig Republic”
1 Zelig come metafora di una generazione
Nel libro racconti la nascita dello Zelig come un sogno collettivo, nato da un gruppo di amici con la voglia di creare “una casa per la comicità”. Cosa rappresentava davvero quel locale negli anni Ottanta milanesi, un rifugio, un laboratorio o una piccola rivoluzione culturale?
Tutte e tre le cose, è stata una boccata d’aria durante un pessimo periodo per la città, e per il Belpaese in generale.
2 Dalla musica al cabaret
Tu sei un cantautore, un chansonnier, un uomo di musica. In che modo il tuo sguardo musicale ha influenzato il modo in cui hai raccontato la storia dello Zelig? Possiamo dire che “Zelig Republic” sia costruito come un concept album più che come un semplice libro di storia?
Il mio punto di vista è stato quello di un testimone, dall’interno di un mondo che ormai conoscevo bene. La musica è poi stata fondamentale per molti di quei comici e io stesso ne ho tratto beneficio, quando ho deciso di raccontare la storia della comicità musicale, facendone dischi, libri e spettacoli. In questo Zelig è stato un volano d’idee, e non solo per me, ovviamente.
3 Le luci e le ombre della comicità italiana
Nel libro emergono sia la magia del palcoscenico sia i retroscena meno noti, le fatiche e i compromessi. Cos’è rimasto oggi, secondo te, di quella “comicità artigianale” fatta di prove, errori e libertà assoluta?
Poco, anche se nella versione moderna di quella pedana – che oggi si chiama Area Zelig – ci riprovano. E’ cambiato il mondo intorno a noi, la società, la politica e i suoi linguaggi. C’è molta più volgarità in giro, ma ci rimangono i sogni, però è dura… bisogna proprio crederci se si vuole continuare. In qualunque campo..
4 Zelig e Milano: un legame indissolubile
Lo Zelig nasce in viale Monza, lontano dai Navigli e dai salotti borghesi. Quanto ha contato quella “periferia poetica” nella costruzione della sua identità e nel successo di quella generazione di comici e musicisti?
Moltissimo, perchè a Milano quei salotti borghesi ci sono sempre stati, dai tempi delle ottocentesche Cinque Giornate, ma in quegli anni fare cultura nelle periferie rappresentava un riscatto reale, era un argine contro la sottocultura della comunicazione televisiva. Le cantine, i circoli e i centri sociali avevano un compito nobile: far capire che esistevano altri ideali. Ci sentivamo l’ossigeno del Belpaese, e forse lo eravamo davvero.
5 La risata come resistenza
Hai dedicato la tua carriera a unire canzone, teatro e ironia. Se dovessi riassumere lo spirito dello Zelig in una canzone, quale sarebbe?
E più in generale, cosa significa per te, oggi, “ridere seriamente”?
Io ne ho scritta una, che trovate anche in rete (Sono il comico), ma ce n’è anche un’altra; Sei capace?, è il titolo del primo spettacolo dei Fichi d’India, che avevo firmato con Max Cavallari e Bruno Arena. Avrebbero dovuto cantarla loro, ma in televisione non la volevano. Così l’ho incisa anni dopo con Nino Formicola, il Gaspare del duo comico con Zuzzurro. Anche quella la trovate sul web. Entrambe lo ho scritte su musica di Ubi Molinari, un bluesman di periferia che è stato per anni gestore del Frizzi e Lazzi, uno dei primi locali anni Settanta sui Navigli.
6 E più in generale, cosa significa per te, oggi, “ridere seriamente”?
E’ il vero compito del comico, Dario Fo docet…



